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La scrittura come catarsi

Dopo Milica, è la volta di Michele Scaranello che con il suo “L’ultimo tango” ha ottenuto il primo posto nella sezione Romanzo breve del concorso letterario Les Flaneurs. Un libro dalla forte carica emotiva, breve ma intenso. Michele si racconta in esclusiva per noi. Come nasce? Mia sorella Antonella, prima della sua scomparsa, avvenuta due anni fa, mi chiedeva spesso di raccontare la sua storia, di raccontare dei malati di tumore, di quel demone che segna la vita e gli affetti. In quel periodo frequentavo una scuola di ballo e lei mi aveva confidato il suo sogno di prendere lezioni. Purtroppo non c’è stato né tempo, né modo. Così, a distanza di un anno, ho provato a esaudire la sua volontà. All’inizio ho avuto qualche difficoltà, poi i frequenti viaggi fatti a Milano per curare un altro familiare, mi hanno conferito maggiore determinazione e ispirazione. Il fatto di aver scritto la storia a step – prima come racconto e poi come romanzo breve – inoltre mi ha aiutato ad assumere il giusto distacco. A chi si rivolge? A tutti. È un romanzo sicuramente dalle tinte forti, indicato a tutte le età. Se la storia ha risvolti purtroppo drammatici, la mia penna ha calcato la necessità, comune a molti malati, di sdoganare il dolore. Avvicinandomi a questa realtà ho potuto apprezzare il coraggio di chi vuole riappropriarsi della vita, della passioni, come appunto il ballo. In fondo, ogni malato ingaggia se stesso non per recuperare una normalità, ormai minata e compromessa, quanto per sentirsi ancora capace di cogliere il flusso di emozioni che appartengono alla vita, al vivere quotidiano. Ma questo naturalmente dovrebbe valere anche per chi è sano e non vuol farsi stritolare dalla quotidianità. Di cosa parla? Se il filo conduttore è la malattia, il mio romanzo non vuole limitarsi alla testimonianza di un malato. È piuttosto la fotografia e la denuncia di una generazione che è salita sul treno del progresso. Ed è un treno troppo veloce, che non ammette fermate, che spesso stritola e illude. Andrea, il protagonista, è consapevole di aver innaffiato per anni il seme del suo male, eppure, pur sapendo di dover deragliare, crede ancora nella possibilità di rigenerare il mondo, di assegnare una speranza. E, per quanto breve, il romanzo parla anche di Tango, di passioni, di energia. E di sogni. In fondo le passioni spesso hanno la capacità di far incontrare due mondi molto diversi e distanti, come quelli di Andrea e di Nina. E non a caso il punto di contatto, pur silenzioso, è il ballo, perché nelle passioni, come nell’amore, esiste un linguaggio unico, universale. La scrittura e la lettura possono essere medicine contro il dolore? La lettura è l’aspirina, il tonico, la vitamina che non fa mai male a nessuno. Ti dà sollievo in ogni circostanza. È un viaggio della mente. La scrittura invece, proprio perché ti coinvolge attivamente, proprio perché isola e sprigiona il tuo focolaio di pensieri, può essere più assimilabile a una medicina, a una terapia d’urto. Io l’ho sperimentata, anche come antidepressivo, ma l’esempio vivente è stato Bukowski, o Baudelaire qualche decennio prima. Ma giusto per contraddirmi, forse la scrittura è già essa stessa una malattia, incurabile per giunta. Come è nato il tuo rapporto con la scrittura? Nella mia esperienza è stata la scrittura a conquistarmi, e non viceversa. Da bambino ero affascinato dagli autori capaci di trasfigurare in parole emozioni, paesaggi, universi sconosciuti. Ma erano tempi in cui la televisione era in bianco e nero e finiva con “Carosello” . Ho scritto le prime pagine di un romanzo a 15 anni convinto che quello sarebbe stato il mio futuro; a ventuno ho lasciato l’università (economia e commercio) per riprendere a scrivere quel romanzo. A venticinque, invece, ho mollato tutto, deluso dalla scoperta di un mondo editoriale spietato. Poi dopo vent’anni, la passione, è tornata, e mi ha travolto definitivamente. La maturità, la consapevolezza, lo studio mi hanno restituito il fascino di una passione che non può e non deve essere circoscritta a un prodotto industriale. Ora la scrittura è il mezzo migliore con cui esploro e comunico col mondo. Quali sono i tuoi modelli letterari? Io penso che uno scrittore si arricchisca leggendo di tutto. Tuttavia lo stile di un autore è tanto più tangibile e apprezzato quanto più si distacca dai modelli che insegue. Apprezzo molto Hugo, Hosseini, Zafon, Marquez per i romanzi, mentre Calvino e Verga per i racconti. Chi è Michele Scaranello? Mi definisco un autore clochard, un cane sciolto – allergico a vincoli e schemi – che esplora la scrittura in tutte le sue forme. Scrivo ciò che sento, perché sono le storie a bussare, a chiedere di essere interpretate. E l’autenticità, il pubblico la percepisce, l’apprezza, più di ogni tecnicismo. Con soddisfazione posso dire che tutti i miei lavori sono stati premiati, e ho finanche vinto dei premi per sceneggiature e per opere teatrali. E tutto questo mi ripaga degli enormi sacrifici che faccio, perché scrivo di notte, durante le vacanze, e devo concentrare tutto in un tempo sempre infinitamente stretto. Come molti “dilettanti”, infatti, ho un lavoro e una famiglia da onorare. Quali sono i progetti letterari in cantiere? Ho diversi racconti brevi “parcheggiati”, ma nell’immediato proverò a prendere a prestito Pirandello per scrivere una commedia allegra, in dialetto. Il sogno però è di dar luce e lustro al romanzo ideato quando avevo 15 anni. Ci ho già cominciato e voglio farne il mio piccolo capolavoro, anche se ci impiegherò mesi, forse anni. Cosa pensi di Les Flaneurs Edizioni? Alessio ha avuto un’idea meravigliosa e coraggiosa. Immagino quanti sforzi richieda, in questo periodo e in questo contesto territoriale, lo svolgere un’attività culturale. È un paradosso: la Puglia ha tanti autori apprezzati anche a livello internazionale (Carrisi, Lagioia ecc…), ma non ha una voce, come editore, intendo, nel panorama narrativo italiano. Io mi auguro che la sua casa editrice, passo dopo passo, tracci questa via, così importante per gli autori veri (quelli non disposti a pagare, per intenderci) e per il territorio. Le premesse ci sono tutte, e la sfida penso sia molto eccitante.

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