Si chiamano così: DCA (“Disturbi del comportamento alimentare”) e, come recita Wikipedia, comprendono “tutte quelle problematiche psicologiche che concernono il rapporto tra gli individui e il cibo”.
Pare ormai accertato che l’anoressia nervosa e il BED (Binge Eating Disorder) o “Disturbo da ingestione incontrollata”, abbiano in comune la caratteristica di utilizzare il cibo come oggetto ‘speciale’ che, inconsciamente, diventa strumento della propria relazione col mondo esterno, assumendo un ruolo centrale dal punto di vista affettivo, pulsionale ed emotivo.
Mentre da un lato il cibo diventa l’unico oggetto di amore, odio, timore, repulsione, desiderio, dall’altro viene alterata la percezione del proprio corpo rimandando a un’immagine di sé distorta e non aderente alla realtà. Questo meccanismo finisce, protraendosi nel tempo, col modificare di fatto il corpo stesso, che diviene vittima della relazione conflittuale col cibo e del comportamento anomalo che ne deriva. Il corpo diventa l’evidenza tangibile del disagio quando sottoposto a variazioni importanti di peso.
C’è da dire, infatti, che il peso non è il sintomo imprescindibile dei disturbi del comportamento alimentare, perché anche persone con peso corporeo normale possono vivere il grave disagio di cui parliamo.
Non occorre essere un medico per comprendere che i DCA, se non trattati in tempi e modi adeguati, possono compromettere seriamente la salute generale del corpo e, nei casi gravi, portare alla morte. È un dato accertato, purtroppo, che l’anoressia ha provocato molte vittime.
In una società dove i bambini sono sempre di più esposti e sollecitati dalle dinamiche esterne, questi disturbi rappresentano certamente un importante problema di salute pubblica perché sappiamo, ormai, che possono interessare anche fasce di età piuttosto basse, non solo quelle adolescenziali.
Va de sé che un esordio precoce potrebbe comportare rischi maggiori o addirittura danni a carico di un corpo che non ha ancora raggiunto una piena maturazione.
In questi casi, soprattutto, l’intervento precoce riveste un’importanza fondamentale. In generale comunque è essenziale coinvolgere il prima possibile le figure professionali che hanno competenza specifica come psichiatri, pediatri, psicologi, dietisti, specialisti in medicina interna, per favorire una tempestiva presa in carico e intraprendere un percorso di cura adeguato.
Secondo le stime ufficiali, “il 95,9% delle persone colpite dai disturbi alimentari sono donne.
L’incidenza dell’anoressia nervosa è di almeno 8 nuovi casi per 100 mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi. Invece, per quanto riguarda la bulimia ogni anno si registrano 12 nuovi casi per 100 mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini”. (Salute.gov.it).
La più pericolosa sarebbe proprio l’anoressia nervosa che, come è noto ormai a tutti, è caratterizzata dalla restrizione dell’alimentazione dovuta a un’eccessiva preoccupazione per il peso e le forme corporee. Si esprime con un’ossessiva e continua paura di ingrassare e nella ricerca della magrezza. Le cause possono essere le più svariate, connesse a proprie fragilità e/o sollecitazioni del mondo esterno.
Dai racconti che i ragazzi fanno (anche su web) delle proprie esperienze di vita e di ingresso nel tunnel dell’anoressia, emergono talora episodi di bullismo ai danni di ragazzi un po’ più in carne. L’autostima viene compromessa e possono seguire comportamenti reattivi come l’inizio di diete drastiche delle quali poi si perde il controllo.
A volte può essere decisivo il desiderio di emulare celebrità dello spettacolo o della moda, ambienti nei quali l’attributo della magrezza viene visto come vincente e socialmente richiesto. Infine in alcuni ambiti, come ad esempio quello della danza, la magrezza estrema diventa tutt’uno con l’ideale estetico della disciplina.
L’anoressia sembra essere stata presente anche in altre epoche (ad esempio le sante anoressiche della tradizione cattolica, per le quali il digiuno assumeva una valenza purificante e mistica) ed è il primo disturbo che è stato descritto scientificamente nella seconda metà dell’800. La predominanza è del sesso femminile ma pare che i casi maschili siano in aumento, spesso collegati alla pratica di qualche sport e all’ossessione per il corpo che ne deriva, ma anche alla fragilità emotiva che sempre più raramente è appannaggio del solo genere femminile.
Anche la bulimia nervosa è determinata da una preoccupazione per il proprio aspetto fisico e il desiderio di magrezza, ma il controllo sul cibo viene interrotto da episodi di abbuffate, spesso consumate di nascosto per il senso di colpa che vi si accompagna, seguite da condotte c.d. eliminatorie (vomito autoindotto, purghe) o compensative (attività fisica compulsiva ed esagerata). Ne consegue che spesso non vi è un’alterazione del peso corporeo ma certamente grandi danni agli organi interni (apparato digerente, cuore, fegato, ecc.) a causa degli scompensi che questi comportamenti innescano.
Quando a queste abbuffate non seguono comportamenti compensatori-punitivi e, soprattutto, quando l’abbuffata assume carattere di vera e propria crisi di perdita di controllo della quantità e qualità del cibo ingerito, si parla di bed. Wikipedia così definisce lo definisce:
“Il disturbo da alimentazione incontrollata, detto anche BED (acronimo dell’inglese Binge Eating Disorder) è un disturbo del comportamento alimentare che si presenta clinicamente con episodi di abbuffate tipici della bulimia nervosa, senza però mostrare i comportamenti compensatori tipici di quest’ultima, quali vomito, abuso di lassativi o diuretici, digiuno successivo (anche se quest’ultimo è stato riscontrato in molti pazienti affetti da bed). Spesso tale disturbo è una conseguenza dell’anoressia nervosa e della bulimia nervosa”.
La percezione che spesso si ha, relativamente a questo fenomeno, è che mentre nei riguardi dei soggetti affetti da anoressia l’atteggiamento sociale è di comprensione e di empatia, nei confronti degli obesi, con o senza condotte di bed, la società è fortemente critica e giudicante, attribuendo agli stessi in primo luogo una mancanza di volontà e poi tutta una serie di caratteristiche che assumono la valenza di pregiudizi ( pigrizia, poca intelligenza, scarsa igiene, scarso sex-appeal se non proprio repulsione) spesso fortemente discriminanti nella vita sociale, lavorativa, affettivo-relazionale. L’obesità sembra quindi più subdola. Probabilmente desta un allarme sociale minore perché non è morfologicamente simile alla morte come invece è l’anoressia.
La costante richiesta sociale di magrezza e avvenenza secondo i canoni di quest’epoca, potrebbero inoltre mettere a rischio di caduta anche gli adulti, soprattutto coloro che si trovano a vivere periodi correlati a crisi emotivo-relazionali o veri stati depressivi, momenti in cui l’accentuata fragilità induce la ricerca di un riconoscimento esterno e distorto del proprio valore.
Cosa dire poi delle persone che si sono ammalate e poi guarite o cronicizzate in relazione ad alcuni di questi disturbi e che sono a loro volta genitori di nuove generazioni a rischio, data la probabile componente relazionale-familiare? Senza banalizzare la questione demonizzando le competenze genitoriali, attribuendo cioè la colpa dei disturbi alimentari a dinamiche familiari sbagliate, a madri “drago” e padri inconsistenti o inesistenti, è indubbio che è nell’ambiente familiare che si instaura la relazione del bambino col cibo e con tutto ciò che comporta.
A questo quadro già fortemente critico, si aggiunge la potenza del web che, nel bene e nel male, diventa fonte di amplificazione dei fenomeni. I recenti casi di cronaca hanno portato alla ribalta un fenomeno diffuso già da più di un decennio, importato dagli Stati Uniti, quello dei blog e siti pro-Ana e pro-Mia (Ana sta per anoressia e Mia per bulimia), cui si aggiungono oggi le molteplici possibilità di chat private, in cui i comportamenti patologici subiscono un rinforzo, un incitamento e una diffusione capillare nella vita dei soggetti che ne sono affetti tanto che si parla della possibilità di incriminare coloro che li gestiscono attivamente per istigazione al suicidio, ed è da tempo allo studio una proposta di legge che parla di istigazione all’anoressia come distinta fattispecie criminosa. (G. Maggio, Istigava all’anoressia, denunciata una blogger, in «La Stampa», 26 novembre 2017).
Fin qui la descrizione del fenomeno. Ma qualcosa si sta finalmente muovendo per aiutare concretamente ragazzi e famiglie in difficoltà. Se la rete può rappresentare un pericolo, essa può costituire anche una potente arma di informazione, aiuto, supporto. Intanto si esce finalmente fuori dall’ombra, dal mondo del non detto, dalla vergogna. Si esce dall’isolamento in cui si chiudono le persone che soffrono per questo disturbo e le loro famiglie, quando non riescono a trovare un aiuto. Si dà dignità di grave disagio a qualcosa che fino a qualche anno fa era considerata dalla massa della popolazione poco più che un capriccio (l’anoressia) o un problema di volontà (bulimia, BED, obesità).
Si parla finalmente di persone che hanno un disturbo e non di anoressici, obesi, bulimici, identificati da un marchio discriminatorio. Condurre le persone affette dal dca fuori da un’etichetta che ha assunto per lungo tempo accezione dispregiativa, significa riconoscere la sofferenza e valutare le strategie di cura e supporto che devono indagare nella psicologia e nel vissuto delle persone e non focalizzarsi esclusivamente sulla sfera alimentare. Non basta insomma l’alimentazione forzata (o una dieta drastica con medicine o addirittura interventi chirurgici) e riprendere (o perdere) un po’ di peso per esserne fuori.
Eppure si può guarire. Si tratta di guardare a ogni caso con un approccio multidisciplinare e scandagliare le cause (genetiche e ambientali) che ne sono all’origine. È importante anche ascoltare le testimonianze di coloro che ne sono usciti, che sempre più spesso hanno il coraggio di metterci la faccia e di essere così di aiuto a tutti coloro che vogliono farcela, un po’ come accade per i gruppi di autoaiuto nelle varie dipendenze (alcool, droga) con cui queste malattie hanno, forse, un certo grado di affinità.
Le famiglie, dopo un periodo in cui sono state messe sul banco degli imputati, hanno adesso finalmente più opportunità di parlare, di essere ascoltate, emergere e diventare protagoniste attive nel percorso di guarigione del proprio caro.
È per questo che qui segnaliamo da un lato la mappa delle strutture dedicate ai DCA in Italia (http://www.disturbialimentarionline.it/mappa-dca) e dall’altro l’associazione Fiocchetto Lilla, con i suoi molteplici punti di ascolto sul territorio nazionale, totalmente gratuiti, ricordando che il 15 marzo ricorre la giornata contro i disturbi alimentari.
http://www.minutrodivita.it/
Carmen Nolasco
Dirce Scarpello