Conosciamo meglio Ivana Margarese, curatrice e coautrice di Tra amiche, in librerie e negli store online dal 17 aprile.
Ciao Ivana, benvenuta sul nostro blog! Raccontaci qualcosa di te e del libro: da dove nasce questo progetto? Ripercorriamone insieme la genesi.
Tra amiche nasce come esigenza spontanea, maturata al termine di un percorso lungo di approfondimento sul tema della scrittura e delle relazioni. Si tratta di un progetto nutrito anche dagli scambi vissuti all’interno della rivista che coordino, Morel voci dall’isola, che ha preso forma grazie all’accoglienza e all’attenzione della casa editrice Les Flâneurs. Era da tempo che riflettevo sulle relazioni e sull’importanza delle relazioni per dare forma alle proprie idee e mi sono trovata a parlarne con Ginevra Amadio, redattrice di Morel e coautrice del libro, a seguito delle nostre ricerche sul legame tra Leonora Carrington e Remedios Varo, che definirei “un’amicizia prodigiosa”. All’inizio avevamo giocato con la parola ‘con-visione’ per sottolineare come una visione comune possa dare fiducia e far germogliare idee che se isolate corrono il rischio di rimanere in silenzio.
I legami al femminile sono spesso poco valorizzati all’interno degli studi e della saggistica sul tema. Quanto, invece, è decisivo il ruolo delle madri o sorelle letterarie? Come possiamo agire per riportare a galla le loro storie sommerse dalla Storia?
Ritengo che oramai – per fortuna – ci sia una consapevolezza maggiore. Anche a scuola, dove insegno (al Liceo) io e molti colleghi facciamo lo sforzo appassionato di andare oltre il canone, inserendo nei programmi delle varie discipline anche figure femminili, che per molto tempo sono state assenti o completamente dimenticate. Devo dire che quando mi si fa notare che il parlare di donne sta diventando di moda, pur essendo in parte d’accordo ritengo che si tratti della conquista di uno spazio sacrosanto che è importante anche per educare alla pluralità e al confronto le giovani generazioni: ecco perché sono felice di essere recentemente entrata a far parte delle Società delle Letterate che sin dalla nascita è attenta alla riscoperta di voci femminili dimenticate; e spero che il gruppo siciliano, fatto di donne che stimo, possa continuare a lavorare sempre meglio in tal senso.
A proposito di madri letterarie, quali sono stati i modelli di questo progetto? E i tuoi “libri-radice”, quelli che si sono rivelati indispensabili nella tua formazione autoriale e che hanno fatto nascere il tuo interesse per il tema e per le iniziative di questo tipo?
A questa domanda rispondo innanzitutto con i nomi delle due donne di cui scrivo in Tra amiche, Cristina Campo e Hannah Arendt, entrambe col talento dell’amicizia, come testimonia anche la loro fitta e costante attività epistolare. Lo studio del pensiero di Arendt, presenza costante anche nelle mie lezioni a scuola, mi ha insegnato che la vita si coniuga al plurale, è convissuta o non è. La comunità in cui abitiamo forma e legittima i nostri desideri dandoci o meno il diritto a immaginarci in modalità che ci rendano appagati e più felici. Il pensiero senza lo spazio dell’immaginazione resta monco, e per immaginare abbiamo bisogno di alleanze.
Anche a Simone Weil e Maria Zambrano si devono pagine fondamentali sul valore del sentimento di amicizia. Oltre a Arendt, promotrice di un modello teorico che concepisce l’esistenza quale sé incarnato, esposto fin dalla nascita alle relazioni con gli altri, e riconosce nel rapporto tra amici più che nell’astratta fratellanza il fondamento della polis, anche il pensiero di Simone Weil dà grande valore all’esercizio dell’amicizia che apre alla comprensione del miracolo del reale. Nell’amico, scrive la filosofa, si ama un particolare essere umano come si vorrebbe poter amare ciascun componente dell’umanità. L’amicizia si alimenta con l’autonomia nostra e dell’altro. Non può essere possesso o bisogno e non va né cercata, né sognata, né desiderata, né teorizzata. L’amicizia si esercita (è una virtù) e semplicemente “esiste” come la bellezza. È per Weil un miracolo, misterioso e insieme incastonato nella realtà.
Prezioso inoltre è stato per me sin dai tempi universitari il pensiero di Adriana Cavarero, con cui ho avuto qualche breve scambio personale: e mi suscita un’emozione festosa ogni volta che arriva una sua risposta a una mia mail. Vorrei ringraziare anche Lea Melandri, che con coraggio porta avanti il suo posizionamento di pensiero stimolando a riflettere su temi importanti come la scrittura d’esperienza o la maternità e talvolta scomodi, come la violenza sulle donne e le ambiguità dei nostri modelli culturali.
Entriamo ora nello specifico del volume. Quali sono stati i criteri di selezione adottati per le donne prescelte, sia le narratrici sia le narrate?
I criteri sono stati diversi. Alcune tra le autrici sono amiche con cui ho condiviso uno scambio stimolante di idee e dei progetti – ci sono ad esempio le redattrici di Morel voci dall’isola – Ginevra Amadio, Dafne Leda Franceschetti e Francesca Grispello – le scrittrici Nina Nocera e Maria Oliveri, entrambe amiche palermitane con cui condivido passioni e interessi – altre sono donne esperte dell’ambito di cui trattano nel testo, come Alessandra Filannino Indelicato, filosofa del tragico, che nel testo si occupa di miti, o Daniela Sessa, critica letteraria anche lei appassionata di miti, o la poetessa Margherita Ingoglia che nel libro scrive su Emily Dickinson, o ancora Chiara Pasanisi che studiosa di teatro – è dottoranda in Musica e spettacolo presso la Sapienza Università di Roma – e ha recentemente pubblicato un libro per Mimesis intitolato La resistenza delle attrici nel secondo Novecento. Infine l’unico racconto l’ho affidato a Valentina Di Cesare perché ritengo sia una bravissima narratrice e devo dire – seppure sembrerò di parte – che anche questa volta ha scritto un racconto intelligente e bellissimo.
In particolare, tu hai scelto di rivolgere la tua attenzione in un capitolo a Cristina Campo, Anna Cavalletti e Margherita Pieracci Harwell, nell’altro a Hannah Arendt e Mary McCarthy. Da dove nasce il tuo legame con queste intellettuali del passato, cosa ti porta a sentirti in sintonia con loro?
Ti ringrazio per questa domanda perché mi aiuta a riflettere. Posso rispondere che entrambe uniscono un rigore, nella forma della scrittura Campo e nella logica del pensiero Arendt, a un carattere fortemente appassionato. Questa vocazione utopica, ovvero la fiducia in un altro modo di vedere le cose, mi ha da sempre “contattato” – per la stessa ragione credo di amare Giordano Bruno, Nietzsche, ma anche Kant e tra i contemporanei Hustvedt e bell hooks. Cristina Campo dice: esistono due mondi e io vengo dall’altro.
Ecco mi interessa chi prova a portare altro in questo mondo.
Il secolo più rappresentato all’interno del libro è il Novecento. Ma non è presente alcun confine cronologico: a cosa si deve la scelta di dedicare uno spazio anche all’antichità e all’estremo contemporaneo?
Ho immaginato una linea temporale che partisse dall’origine o meglio da quelle storie sempre vive, costantemente rilette e riscritte, che sono i miti, con il loro patrimonio di metafore e di strutture archetipiche, e giungesse fino ai giorni nostri e alla città in cui abito, Palermo, sospesa anch’essa a volte in mitologie gattopardesche, per raccontare di un fare, di un’azione comune, a quella vita activaper tornare a Arendt che mostra come gli uomini siano nati per dare inizio a qualcosa di nuovo insieme.
Anche sul piano stilistico il volume è privo di confini rigidi: si presenta volutamente variegato e non è circoscrivibile all’interno di nessun genere letterario. È una scelta? Se sì, come nasce questa passione per le scritture ibride e le contaminazioni?
Desideravamo aprire uno spazio narrativo che fa ricorso a stili “contaminati”, in cui il discorso – reale o immaginario che sia – è parte di un momento progressivo ovvero di qualcosa che non consideriamo ancora finito. Nuovamente il pensiero di Arendt, nella sua incontestabile singolarità, è stato di ispirazione per il nostro approccio; un pensiero che, come ben sottolineato da Julia Kristeva, si manifesta nel non concludere, nel non dare forma rigida “al di sopra delle parti”, ma piuttosto nella continuità del dialogo con gli altri e con sé stessi.
Il tuo percorso di studiosa, intellettuale e autrice con questo progetto ti ha portata in casa Les Flâneurs Edizioni. Com’è nato il tuo legame con la casa editrice, cosa ha condotto qui questo libro?
Ho conosciuto la casa editrice Les Flâneurs grazie a un’amica che ho cara anche perché da lei ho appreso tante cose: Antonia Santopietro. Grazie ad Antonia ho pubblicato il mio primo racconto, dopo la selezione per un concorso letterario, e ho iniziato a scrivere per la rivista Zest letteratura sostenibile, un’avventura preziosa. Il rapporto tra me e Antonia è un rapporto di fiducia e generosità, un perfetto “tra amiche” direi e quindi mi sono affidata e ho fatto benissimo.
Come abbiamo intuito, Tra amiche è un progetto molto ampio, spazia fra periodi storici, generi letterari e personalità differenti. Quali sono le tue lettrici e lettori ideali, chi immagini perdersi fra le pagine di Tra amiche?
In verità ho imparato a mie spese a non avere modelli, quindi non ho un lettore ideale, vorrei affidarmi alle sensibilità e alle storie diverse di chi leggerà. Mi piacerebbe, questo sì, raggiungere le giovanissime, poterle emozionare, non soltanto perché col lavoro che faccio ho sviluppato attenzione verso le giovani studentesse, ma anche perché una parte di me custodisce con amore la giovane Ivana che sono stata, curiosa e appassionata, che deve ad alcuni incontri il suo essere ancora oggi disposta a contattare e a dare spazio a ciò che le sta intorno.