Conosciamo meglio Emanuele Grittani, autore de Il mazziere dei vinti, il romanzo che si è aggiudicato il premio Ludovica Castelli 2023.
Ciao Emanuele, benvenuto sul nostro blog! Raccontaci di te: com’è nato il tuo rapporto con la scrittura?
Grazie per questa opportunità. È un percorso maldestro, passato prima dai cantautori poi dalla letteratura – a dimostrazione del fatto che non siano poi così distanti –, ho iniziato ascoltando Niccolò Fabi che cantava Capelli ed essendo pelato da un po’, per scelta e per esigenza, si può dire che la mia formazione è stata dettata dall’invidia. Poi ho scoperto un mondo celato, fatto di una discografia di fragilità e malinconia e ho compreso che il campo emotivo in cui volevo agire fosse esattamente quello. La “brevitas” non è il mio forte, il testo di una canzone la richiede, perciò ho varato sul romanzo che ha immensi margini di libertà.
Sempre a proposito del legame con la scrittura, quali sono i tuoi modelli letterari? E i tuoi “libri-radice”, quelli che si sono rivelati indispensabili nella tua formazione autoriale?
Sono molti i lucri che vorrei effettuare. Uno su tutti da Il libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa. Un’opera che è tutto, contiene tutto e non suona mai la stessa, che porto con me in ogni viaggio come portafortuna (convinto che in aereo trasformi i potenziali terroristi in amorevoli padri di famiglia).
Aurelio Picca invece ha rappresentato una svolta, Il più grande criminale di Roma è stato amico mio, un libro di una intensità inarrivabile. E un cantuccio per l’ironia, magari da Gli sdraiati di Michele Serra, che ricorda che l’agrodolce è il modo migliore per mandare giù un boccone.
Il tuo percorso ti ha portato in casa Les Flaneurs Edizioni. Com’è nato il tuo rapporto con la casa editrice, cosa ti ha condotto fin qui?
Da pugliese seguivo Alessio Rega da tempo, visto l’ottimo lavoro svolto. Poi quando ho conosciuto per la prima volta Annachiara Biancardino si è creata immediatamente una certa sinergia per una corrispondenza d’interessi. Non posso che essere grato a entrambi, perché uno parla per tatuaggi e l’altro dosa la sua dolcezza.
Il tuo romanzo si intitola Il mazziere dei vinti ed è un testo a metà strada fra la narrazione diaristica e il flusso di coscienza, che tocca temi profondi e delicati, come la depressione, l’amore, la ludopatia e le prospettive dei giovani meridionali. Qual è il tuo “lettore ideale”, chi immagini perdersi nelle sue pagine?
Un lettore esigente, che vorrebbe vedere nei testi un certo tipo di pulizia linguistica e un certo tipo di raffinatezza. E poi lo desidererei coraggioso, senza la paura di scavare alcune profondità, soprattutto al suo interno. I libri non devono essere amici di bevuta e nemmeno compagnia per una cena, devono gettare l’ancora per delle riflessioni, fermarsi sulla bocca dello stomaco quando necessario. E se proprio dovessero fare una leggera carezza, che sia dopo un turbinio, così da poter essere di vero conforto. La realtà è spietata, che lo sia anche la finzione.